venerdì 13 giugno 2014

Intervista a Rebecca Domino


Biografia di Rebecca: Nasce nel 1984, e da sempre è appassionata di scrittura. Dopo aver messo da parte questa sua grande passione per molti anni, è tornata a scrivere e adesso è ciò che le piace di più fare. È anche un'appassionata viaggiatrice e lettrice. "La mia amica ebrea" è il suo romanzo d'esordio, mentre "Fino all'ultimo respiro" è il suo secondo romanzo.

Intervista... 


01. Partiamo da una domanda facile facile e molto ovvia ovvia. Come e quando è cominciata la tua passione per la scrittura?
La mia passione per la scrittura è nata con me. Ho cominciato a scrivere alle scuole elementari e mi è sempre piaciuto fare i temi; ricordo che mia madre aveva uno di quei libri che usava quando andava a scuola lei, di quelli dove ci sono i temi già pronti e lei li copiava, e mi chiedevo come fosse possibile che non tutti sapessero inventare delle storie e che c’erano persone che avevano bisogno di copiare i temi. Durante le scuole medie ho continuato questa mia passione, spesso nel pomeriggio scrivevo brevi racconti al computer e poi li stampavo direttamente. E’ stato verso le scuole superiori che ho messo in stand –by la passione per la scrittura.


02. Nella tua biografia si legge che avevi messo da parte la tua passione per la scrittura. Cosa te l’ha fatta riprendere in mano?

Come accennavo prima, alle superiori ho scritto poco, anche se alcuni dei romanzi brevi che scrissi in quegli anni mi piacciono ancora (anche se naturalmente avrebbero bisogno di modifiche e di un buon editing). Dopo le superiori, ho frequentato l’Università per qualche anno, ho aperto una scuola di danza, poi ho fatto il Servizio Civile per un anno, ho vissuto a Londra per un altro anno… insomma, avevo altre priorità e la passione per la scrittura è passata in secondo piano, tanto che non mi ero neanche accorta di averla accantonata. Penso che, fino ad allora, l’avevo considerata un passatempo, non una passione, invece, come tutte le passioni degne di questo nome, si è ripresentata forte come prima. Un giorno, mentre ero a Londra poche settimane prima del rientro in Italia, mi sono seduta davanti al computer e ho ripreso a scrivere, così, come se non avessi mai smesso. Sono passati tre anni da allora, e in questo tempo ho scritto, scritto e ancora scritto, poi nel gennaio di quest’anno ho esordito con “La mia amica ebrea”. Che cosa mi ha spinto a ricominciare a scrivere, dunque? Non lo so, ma penso che quando una persona ha una passione così forte, non può vivere senza, e se ci sono dei periodi di pausa poi la passione torna più forte di prima. Di sicuro, ora so che scriverò per il resto della mia vita. 


03. Le tue protagoniste sono donne (come dici tu) forti e intelligenti. Innanzitutto, perché unA protagonista e non un protagonista? E poi perché, per esempio nel caso di “Fino all’ultimo respiro”, non hai scelto di parlare attraverso la “vittima” della situazione, ovvero Coleen? O nel caso de “La mia amica ebrea”, tramite Rina? 

Essendo io stessa una donna, mi viene facile scrivere dal punto di vista femminile, ma non si tratta solo di questo: il mondo femminile mi affascina molto più di quello maschile. E’ vero, sia nel caso di “La mia amica ebrea” sia in quello di “Fino all’ultimo respiro” le protagoniste non sono le “vittime” della situazione, bensì quelle che a prima vista sembrano le co-protagoniste. Ho fatto queste scelte in maniera naturale, anche se per motivi diversi. In “La mia amica ebrea”, Rina, la giovane ebrea, è naturalmente la chiave del romanzo, senza di lei non sarebbe cambiato niente nella vita della quindicenne Josepha, “ariana”, che invece grazie all’amicizia con Rina riesce a capire pian piano che le parole di Hitler sono sbagliate, a trovare la propria strada e a ragionare con la propria testa. Quando si parla di Olocausto, è normale parlare degli ebrei, ma mi sono chiesta che cosa volesse dire nascere e crescere nella Germania di Hitler, in una nazione dove tutti – specialmente i giovani – erano indottrinati, spinti a pensare che Hitler avesse ragione su tutto, che gli ebrei fossero il male. Ho immaginato una giovane cresciuta a quel modo, che si ritrova a odiare gli ebrei e a pensare certe cose senza neanche sapere perché… mi affascinava la possibilità di mostrare i tedeschi non solo come i cattivi della situazione, come spesso succede quando si parla dell’Olocausto; i tedeschi non erano solo le SS, c’erano famiglie qualunque, ragazzine “normali” come Josepha, che hanno semplicemente avuto la sfortuna di nascere in un Paese e un periodo storico particolare. Volevo spingere il lettore a scavare dentro di sé, a chiedersi fino a dove può spingersi l’affetto e la compassione, volevo ricordare il coraggio e la nobiltà della razza umana – che spesso sono messi in secondo piano dalle notizie che non fanno altro che ricordarci i lati più spregevoli dell’Uomo - e volevo accendere i riflettori sugli “eroi silenziosi”, perché, quando si parla dell’Olocausto, raramente si nominano queste persone qualunque, che nella realtà hanno rischiato di tutto, spesso hanno perso la vita, per salvare anche “solo” un ebreo. 

In “Fino all’ultimo respiro”, invece, ho deciso di narrare la storia dal punto di vista di Allyson per il semplice fatto che, per fortuna, non ho mai avuto il cancro e inoltre, mentre mi documentavo al riguardo ascoltando e leggendo le storie dei giovani con il cancro, mi sono sentita proprio come Allyson. Prima di cominciare a lavorare sul romanzo avevo sentito parlare del cancro, della chemio e via dicendo, ma pian piano queste parole – e molte altre – sono entrate a far parte della mia vita, ho letto del coraggio di quei giovani, ho visto i loro sorrisi e ho visto dei video in cui si chiedevano come mai alcuni loro amici erano morti e loro erano sopravvissuti, il tutto con le lacrime agli occhi. Sono una persona empatica, ma penso che non ci sia bisogno di un altro libro di fiction sul cancro nei giovani e non sarei riuscita a sopportare l’idea di poter “sbagliare” qualcosa, narrandolo in prima persona dal punto di vista di una ragazza malata di leucemia, così ho scritto di Allyson perché Allyson sono io, siamo tutte noi, le lettrici “sane” che, pagina dopo pagina, entriamo nel mondo di Coleen. Nonostante caratterialmente io sia molto diversa da Allyson, le sue domande e i suoi dubbi sono i miei. Com’e’ possibile affrontare il cancro nell’adolescenza con così tanto coraggio? Com’e’ possibile andare incontro alla morte con il sorriso sulle labbra? Ecco perché ho scritto dal punto di vista di Allyson, perché, esattamente com’e’ successo a me grazie alle storie di quei ragazzi, pagina dopo pagina, Allyson impara a conoscere se stessa, a vivere davvero la vita, a non avere più paura di morire, e spero che Coleen darà gli stessi insegnamenti ai lettori. 


04. Un’altra domanda facile facile e molto ovvia ovvia. Parli di argomenti belli tosti, sia in “Fino all’ultimo respiro” e sia in “La mia amica ebrea”. Come mai questa scelta?

Non è stata una scelta ponderata. Sin da quando scrivevo i romanzi brevi alle scuole medie, trattavo temi tosti. Non ho niente contro chi scrive altri generi di romanzi, ognuno è libero di fare e scrivere ciò che vuole ma per me la scrittura è sia la mia passione, il motore che mi fa stare bene e mi fa sentire viva, sia la chiave attraverso la quale posso aprire delle porte più o meno segrete per mostrare diverse storie al mondo. Nel caso de “La mia amica ebrea” volevo raccontare il lato meno conosciuto dell’Olocausto, dando voce a degli “eroi silenziosi” di cui si parla pochissimo, i tedeschi che hanno corso dei gravi rischi pur di aiutare degli ebrei. Mi è sempre piaciuto prendere una “storia famosa” e mostrarne il lato meno noto, far capire al pubblico che una situazione, una persona, non è mai solo bianca o solo nera. Nel caso di “Fino all’ultimo respiro”, invece, non è certo un mistero il fatto che gli adolescenti si ammalano di tumore, eppure, quasi nessuno ci pensa e solitamente ci pensiamo solo quando il cancro ci tocca da vicino. Io stessa ero così, invece, grazie alle ricerche svolte per il romanzo e grazie al romanzo stesso, sono diventata molto più sensibile sull’argomento e sono rimasta stupita da quanto si possa imparare da queste persone. Ci sono insegnamenti positivi e lezioni ovunque. Con i miei romanzi voglio emozionare, voglio spingere i lettori a riflettere, a scavare dentro di sé, spero di farli immedesimare nelle vicende delle mie protagoniste e, nel caso di “Fino all’ultimo respiro”, spero che, letta l’ultima parola, si rendano conto che per alcuni ragazzi tutte quelle cose (la chemio, le radiazioni, la difficoltà di avere una vita normale, la paura di morire giovani…) sono la realtà e che ciò li spinga a fare una donazione in favore di Teenage Cancer Trust. La scrittura dunque è un mezzo per arrivare al cuore della gente e anche per far nascere qualcosa di buono; come sai con “Fino all’ultimo respiro” voglio raccogliere fondi in favore di Teenage Cancer Trust e non ho messo un prezzo di vendita fisso, per esempio 1.99, da cui avrei tolto 50 centesimi da devolvere a Teenage Cancer Trust. No, mi sono rivolta alle coscienze dei miei lettori: non voglio obbligarli a donare o ad acquistare il mio romanzo, spero solo che, alla fine, il libro tocchi le corde delle loro anime e che ripaghino quei ragazzi con una piccola donazione, perché le loro storie c’insegnano qualcosa che non ha prezzo. Quindi sì, scrivo e scriverò sempre argomenti tosti, semplicemente perché non m’interessano altri temi e penso che devo scrivere solo ciò che mi da’ i brividi, ciò che mi convince totalmente. 


05. Viene da chiedersi, parlando di argomenti come questo: “E se fosse capitato a me?”. Te lo sei mai chiesto mentre scrivevi il romanzo?

Certo, e a volte me lo chiedo ancora! Come ho accennato prima, il fatto che, per fortuna, non mi sia mai ammalata di cancro e che io non conosca adolescenti e giovani adulti che hanno avuto un tumore, mi ha spinta a scrivere il romanzo dalla parte di Allyson. Io, per certi versi, “sono” Allyson e molte delle domande che si pone sono le mie. “E se fosse capitato a me?” è sicuramente una delle domande che mi sono posta più di frequente sia durante la stesura del romanzo, sia dopo: la risposta onesta è, non lo so. Non posso rispondere su un argomento così serio e delicato senza che mi abbia toccato personalmente, però, in linea di massima, dire che cercherei di essere forte, ottimista, ma avrei anche dei momenti “no”. Mi chiederei “perché proprio a me?” pur sapendo che non c’e’ una risposta, infatti nella maggior parte dei casi i medici e i ricercatori non sanno spiegare che cosa fa nascere il cancro negli adolescenti, come mai si ammala un giovane piuttosto che un altro. Sicuramente sarei arrabbiata e, come ho fatto dire ad Allyson, mi chiederei perché il cancro non colpisce delle persone cattive, persone, per esempio, che sono assassini o il cui scopo nel mondo sembra essere solo fare del male ad altri esseri viventi. Quello che so è che ho imparato tanto dagli adolescenti che affrontano la malattia a testa alta e con un sorriso sulle labbra; nelle loro storie spesso ho trovato anche dei momenti “no” – e penso che siano normali – ma sono sempre inferiori rispetto ai momenti in cui vogliono aiutare gli altri e in cui si fanno forza grazie alle risate, alla voglia di andare avanti, di tornare a un’esistenza “normale” e all’amore per la vita. Se dovesse capitarmi un’esperienza del genere (nonostante ormai abbia ventinove anni e sia uscita da un po’ dall’adolescenza) sicuramente farei tesoro delle loro parole e dei loro insegnamenti e cercherei di comportarmi così, facendo della mia esperienza un punto di forza per creare qualcosa di buono.


06. Io mi sono molto affezionata ai tuoi personaggi. In particolare ad Allyson e Coleen (come potrebbe essere altrimenti?), soprattutto per il loro carattere forte e buono, mentre per altri, come la madre di Allyson, ci ho messo un po’ di più. Tu hai qualche personaggio preferito, o qualcuno che hai inserito per far scorrere la storia, ma che in realtà non ti è mai piaciuto?

Anch’io sono molto affezionata ad Allyson e Coleen, le due protagoniste del romanzo. Coleen è il mio personaggio preferito: come ho accennato prima, per certi versi io “sono” Allyson, pur essendo molto diversa di carattere da lei, mentre non ho molte similitudini con Coleen eppure è una ragazza con cui farei volentieri due chiacchiere e penso che sarebbe la miglior conversazione della mia vita. Coleen è irriverente, simpatica, dolce, forte ma non ha paura di mostrare le proprie debolezze; la sua vita è diventata una lotta sia contro la malattia sia per cercare di avere un po’ di normalità. Data la sua situazione, è molto più matura dei suoi diciassettenne anni, fa dei discorsi profondi e penso che sia un modello positivo per le lettrici, sia per le più giovani sia per quelle più adulte. Sì, ci sono dei personaggi che ho inserito solo per far scorrere la storia, per esempio le amiche di Coleen che non mi piacciono neanche un po’, del resto, non si sono allontanate definitivamente da Coleen dopo la sua diagnosi, eppure non le stanno davvero vicino; stanno nella stanza con lei, le parlano e via dicendo ma fingono che il suo cancro non esista, il cancro però è diventato una parte di lei e Coleen vorrebbe solo essere capita e accettata per quello che è diventata, per quello che è. Per quanto riguarda la madre di Allyson, anche a me non piace particolarmente, ma mi riferisco alla parte iniziale del romanzo: è ansiosa e iperprotettiva, pensa che Allyson non dovrebbe avvicinarsi troppo a Coleen perché non vuole affrontare il cancro nell’adolescenza, queste sono cose che “succedono agli altri”, ma pian piano supera le sue barriere, le sue paure e alla fine sia lei sia il marito si affezionano molto a Coleen e ai suoi genitori. 


07. Qualche progetto per il futuro (un breve richiamo alle altre domande: sempre personaggi femminili forti ed intelligenti e argomenti tosti)?

Sicuramente continuerò a scrivere, anche se, lo ammetto, non so fra quanto tempo pubblicherò un altro romanzo. Scrivere per me è un’esigenza primaria, come respirare, pertanto non potrei rinunciarvi ma, nonostante scriva molti romanzi per il semplice piacere di farlo, seleziono molto accuratamente quelli che voglio pubblicare. Al momento non ho idee valide per un nuovo romanzo da pubblicare e non ci sto neanche pensando, perché sono ancora molto coinvolta sia nella promozione diretta di “Fino all’ultimo respiro” sia in quella collaterale (scrivere articoli e tutto ciò che non riguarda direttamente il libro). Inoltre, grazie a “Fino all’ultimo respiro” e alle storie dei giovani con il cancro, ormai non sono più indifferente di fronte al meraviglioso lavoro di Teenage Cancer Trust e voglio fare quello che posso per raccogliere fondi in loro favore. Come sai, il romanzo è leggibile gratuitamente proprio perché spero che, al termine della lettura, i lettori donino quello che possono (anche solo 1 Euro) a Teenage Cancer Trust, ma voglio fare ancora di più e allo stesso tempo voglio fare la mia parte per informare le persone qui in Italia (dove manca un ente come Teenage Cancer Trust) sul cancro negli adolescenti e nei giovani adulti, a cominciare dai cinque sintomi che danno l’allarme e che, se fossero conosciuti dai più, salverebbero delle vite.

Sicuramente, quando uscirà un mio nuovo romanzo tratterà un tema forte come “Fino all’ultimo respiro” e “La mia amica ebrea” e i miei personaggi saranno, ancora una volta, ragazze “normali”, ma determinate e forti, pur avendo le loro debolezze e i loro difetti. Ammetto che, dopo aver scritto la storia di Coleen, non sarà semplice per me trovare un altro tema da trattare, ormai questo mi sta particolarmente a cuore e il livello emotivo/intellettivo/spirituale dei personaggi principali, Coleen in primis, è molto alto. Insomma, non so che cosa pubblicherò in futuro, quello che so è che al momento sono soddisfatta con i due libri che ho pubblicato e con tutto quello che mi hanno dato, specialmente per quanto riguarda “Fino all’ultimo respiro”: pensavo che avrei scritto un romanzo, come tante altre volte, ma ormai, proprio grazie al libro, la mia vita è cambiata in meglio e tante mie priorità sono cambiate. Scrivo ciò che voglio, quando voglio, perché mi fa stare bene; quindi non so quando pubblicherò nuovamente qualcosa, quello che so è che continuerò a promuovere i miei due romanzi ancora per molto, molto tempo. 


08. Leggendo le ultime righe mi sono proprio commossa. Sono sicura che se avessi dovuto fare le tue ricerche e scrivere di queste cose io non sarei stata abbastanza forte da arrivare fino in fondo (ma probabilmente è perché sono abbastanza sensibile sull’argomento). Come ti sei sentita mentre leggevi o guardavi le testimonianze di quei ragazzi e ragazze?

All’inizio, quando ho avuto l’idea per il romanzo, mi sono detta che forse non sarei riuscita a scriverlo tutto proprio per i tuoi stessi motivi. Prima di scrivere un libro mi documento sempre sull’argomento che andrò a trattare e in questo caso sapevo che avrei dovuto informarmi non solo sull’aspetto medico del cancro (nello specifico, della leucemia) ma anche e soprattutto su come viene vissuto dagli adolescenti che lo hanno. Mi aspettavo storie di dolore, tristezza e rabbia, dove si parla di dolore fisico e morale e di morte e naturalmente in quelle storie ho trovato tutte queste cose, ma sono state messe in secondo piano dalla forza, dall’ottimismo, dal coraggio e dall’altruismo di quei giovani! Porto spesso come esempio la storia di Stephen Sutton, il diciannovenne inglese con un cancro terminale che è morto il 14 maggio di quest’anno dopo aver vissuto al meglio questi ultimi anni, aver raccolto oltre quattro milioni di sterline in favore di Teenage Cancer Trust e aver ricordato al mondo che cosa conta davvero nella vita! Sì, perche’ nonostante la sua diagnosi di cancro terminale, Stephen ha continuato a sorridere, a viaggiare, a raccogliere fondi, a incontrare le persone o “semplicemente” a comunicare con loro tramite la sua pagina Facebook, postando foto ottimiste e speranzose, fra cui quelle famose con i “pollici alzati” simbolo di forza e ottimismo. Come sai, recentemente ho intervistato Shelbee, una diciannovenne inglese che è in remissione da qualche mese dopo aver sconfitto un raro tumore alle ossa ed essere stata curata in uno dei reparti di Teenage Cancer Trust. Sono venuta a conoscenza della storia di Shelbee quando mi sono imbattuta in uno dei suoi video mentre facevo, appunto, delle ricerche per il romanzo, poi ho pensato di contattarla perché mi sembrava molto disponibile a raccontare la sua storia, perché arrivi ad altri giovani e per informarli sui cinque sintomi del cancro negli adolescenti, che solitamente sono sconosciuti anche ai medici di famiglia. Infatti, Shelbee mi ha risposto subito, ben disposta a farsi intervistare e per me è stato un vero e proprio onore. Se potessi, le farei molte altre domande, proprio perché la forza e l’ottimismo di questi ragazzi mi sembrano incredibili, eppure, sono magnificamente reali. Che cosa ho provato, dunque? Onore, prima di tutto, il sentirmi appunto onorata nel poter scambiare qualche mail con una ragazza del genere, che ha fatto della sua malattia un punto di forza, un modo per aiutare gli altri sia economicamente (raccogliendo fondi) sia moralmente attraverso le battute umoristiche e l’allegria generale. I video mi hanno toccata molto di più delle testimonianze scritte, perché mi permettevano di vedere quei ragazzi e mi sentivo ancora più vicina al loro mondo; ci sono dei momenti, apparentemente banali, che sono molto commoventi, e allo stesso modo la loro forza, la determinazione nel voler andare avanti con le loro vite e nel voler fare qualcosa di buono continua ancora a stupirmi, ma penso che persone del genere – per di più così giovani – siano la speranza della razza umana. In un mondo dove le brutture sono all’ordine del giorno (e dove sono principalmente le tragedie a fare notizia) ci sono piccoli, grandi eroi sconosciuti ai più che, un sorriso alla volta, ci ricordano che dentro ai nostri cuori ci sono coraggio, forza, nobiltà d’animo, altruismo e amore per la vita, basta solo avere il coraggio di tirarli fuori.

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